================================================================================ ---------------------[ BFi13-dev - file 02 - 20/08/2004 ]----------------------- ================================================================================ -[ DiSCLAiMER ]----------------------------------------------------------------- Tutto il materiale contenuto in BFi ha fini esclusivamente informativi ed educativi. Gli autori di BFi non si riterranno in alcun modo responsabili per danni perpetrati a cose o persone causati dall'uso di codice, programmi, informazioni, tecniche contenuti all'interno della rivista. BFi e' libero e autonomo mezzo di espressione; come noi autori siamo liberi di scrivere BFi, tu sei libero di continuare a leggere oppure di fermarti qui. Pertanto, se ti ritieni offeso dai temi trattati e/o dal modo in cui lo sono, * interrompi immediatamente la lettura e cancella questi file dal tuo computer * . 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Quello che non cambia, purtroppo, e' l'approccio culturale e politico alla comunicazione elettronica, che oggi come ieri e' sempre piu' criminalizzata e imprigionata da lobbies che scrivono leggi "su misura". Di Carlo Gubitosa "Incriminato - accusato - processato - perquisito": queste parole sono state trasmesse su tutti i teleschermi d'america durante l'ultima edizione del Superbowl, ma non si trattava di uno spot della CIA per festeggiare l'arresto di terroristi e boss mafiosi. La finale del campionato di football americano, il piu' grande evento mediatico degli Stati Uniti, si e' trasformata in un "palcoscenico" per la Pepsi e la RIAA, la lobby dei discografici americani, che hanno deciso di associare ad azioni criminose il volto di ragazzini adolescenti gia' accusati dalle autorita' americane per aver scambiato musica in rete. Quel messaggio pubblicitario e' stato molto chiaro: se condividi musica sei un criminale, ma se bevi la Pepsi puoi farlo legalmente e redimerti agli occhi del mondo. Dieci anni fa il "crimine telematico" per eccellenza non era lo scambio di musica (la compressione MP3 era ancora un lontano miraggio) ma addirittura la "detenzione di modem". A che serve un modem - si chiedevano giornalisti e magistrati - se uno non ha loschi traffici da gestire, guerre termonucleari da scatenare o messaggi segreti da scambiare? Nel maggio 1994 la terribile equazione che associava la comunicazione elettronica alle attivita' illegali si e' trasformata da "semplice" deficit culturale in un vero e proprio teorema giudiziario, che ha scatenato l'ira funesta della Guardia di Finanza su centinaia di persone "colpevoli" di aver gestito un Bulletin Board System, una di quelle "bacheche elettroniche" caserecce che oggi sembrano preistoria informatica. Prima di essere "sorpassate" dal boom di Internet, nato in Italia con le speculazioni di Video On Line, quelle bacheche elettroniche gestite da privati, e basate su regole ferree che non consentivano il transito di messaggi pubblicitari, sono state la palestra sulla quale si e' formata una generazione di "utenti telematici consapevoli", che ancora oggi cercano di resistere allo "zapping telematico" orchestrato in rete dai giganti delle telecomunicazioni e dell'intrattenimento. Nel 1992 una pesantissima azione di lobby della BSA, la "santa alleanza" dei produttori di software, era riuscita a far approvare delle modifiche alla legge sul diritto d'autore che introducevano una distinzione tra i programmi informatici e le altre opere dell'ingegno, sanzionando col carcere la copia di software "a scopo di lucro". E' dall'applicazione distorta di questa "legge su misura" che due anni piu' tardi nasce l'operazione "Hardware I", passata alla storia con il nome di "Italian Crackdown": dalla procura di Pesaro partono 173 decreti di perquisizione, che attivano 63 reparti della Guardia di Finanza per una serie di sequestri a tappeto: oltre a 111.041 floppy disk, 160 computer, 83 modem, 92 CD, 298 streamer e 198 cartridge. Vengono sequestrati anche dei "reperti" totalmente inutili alle indagini: documenti personali, riviste, appunti, prese elettriche, monitor, stampanti, tappetini per il mouse, contenitori di plastica per dischetti, kit elettronici della scuola radio elettra scambiati per apparecchiature di spionaggio. Si arriva a sequestrare un'intera stanza del computer, sigillata dalla finanza nel timore che da quella stanzetta qualcuno potesse innescare la terza guerra mondiale. Molti scelgono di patteggiare, anche se consapevoli di non aver fatto nulla di illecito. Altri ne fanno una questione di principio e vanno fino in fondo, come Giovanni Pugliese, fondatore dell'Associazione PeaceLink, che viene pienamente scagionato nel 2000 dopo un calvario giudiziario durato sei anni. Dopo quell'episodio l'azione di lobby realizzata dalla BSA (e da Microsoft che la finanzia) e' diventata piu' sottile e impercettibile, ma non meno devastante. Il 26 novembre 1996 la pretura circondariale di Cagliari dichiara in una storica sentenza che copiare software non e' sempre reato. La parte in causa e' una ditta privata che installa lo stesso programma su tre computer differenti. Il giudice spiega che il fatto non costituisce reato perche' c'e' una differenza tra lucro e profitto, e la legge punisce solo la copia fatta per lucro, per guadagnare dei soldi, e non quella fatta con profitto, risparmiando sul mancato acquisto di un software. A questo punto, con la legge 248/2000 un nuovo "ritocco" alla legge 633/41 sul diritto d'autore sostituisce magicamente le parole "a scopo di lucro" con "per trarre profitto", e dalla sede centrale di BSA partono immediatamente i fax intimidatori con cui si avvertono le aziende del nuovo cambio di regole. Questa ennesima "blindatura" del diritto d'autore sul software riesce a introdurre per la copia di software pene simili a quelle per omicidio colposo, e chi copia un programma per uso personale viene trattato allo stesso modo di chi ne fa migliaia di copie per rivenderle sul "mercato nero" dell'informatica. Ma c'e' ancora un buco: per quanto riguarda la copia di musica e di video, la legge 248/2000 introduce una distinzione, e punisce la copia di film e canzoni solo se viene effettuata "per uso non personale" e "a scopo di lucro". L'opera di criminalizzazione di qualsiasi copia di opere dell'ingegno e' completata dall'Unione Europea, che nel 2001 ha emanato la EUCD, la direttiva europea sul Copyright recepita In Italia con il decreto legislativo n. 68 del 9 aprile 2003. Tuttavia anche questo decreto ha lasciato una residua possibilita' di scambio culturale tra gli utenti, dal momento che consente la "riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto, effettuata da una persona fisica per uso esclusivamente personale, purche' senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali". L'inghippo e' che scattano comunque le manette se questa copia viene realizzata aggirando i meccanismi tecnologici inseriti a protezione dei contenuti, che ormai sono presenti in tutti i Cd e Dvd. Chi aggira un sistema di protezione per copiare della musica alla nonna rischia gli stessi anni di galera di chi aggira le stesse protezioni per rivendere migliaia di copie di quel CD. E' come se in italia l'ingiuria e la strage venissero punite allo stesso modo. L'ultimo pastrocchio legislativo e' arrivato con il famigerato "Decreto Urbani", che cambia poco nella sostanza giuridica ma ha seminato gia' il panico nel grande pubblico della rete. Da una parte i consumatori vengono spinti dalle compagnie telefoniche verso abbonamenti Adsl che allettano gli utenti con la possibilita' di scaricare "video e musica", dall'altra i cittadini si scontrano con le lobby che vogliono descrivere questa azione come un reato penale, indipendentemente dal tipo di materiale scaricato e dall'uso personale o mercantile che ne viene fatto. Il bello di questo decreto e' che i suoi estensori ne hanno promesso la revisione ancora prima che venisse approvato. Qual e' la forza che puo' spingere un ministro ad approvare una legge scritta male per sua stessa ammissione, e che oggi, nonostante le successive "pezze" legislative nessuno sa ancora interpretare in modo univoco? Per capire l'entita' di questa forza basta conoscere il pensiero di chi la combatte da piu' di un decennio, e rileggere la "dichiarazione di indipendenza del Cyberspazio" scritta da John Perry Barlow nel 1996, ma attualissima ancora oggi: "Le vostre strutture dell'informazione, sempre piu' obsolete, tenteranno di perpetuarsi proponendo nuove leggi, in America e in tutto il mondo, per affermare di possedere la parola stessa. Queste leggi definiranno le idee come un altro prodotto industriale, non piu' nobili del volgare ferro. Nel nostro mondo, qualunque cosa creata dalla mente umana puo' essere riprodotta e distribuita all'infinito senza alcun costo. La trasmissione globale del pensiero non richiede piu' l'appoggio delle vostre fabbriche. Queste misure ostili e coloniali ci pongono nella medesima posizione di quegli amanti della liberta' e dell'autodeterminazione che in altri tempi sono stati costretti a non riconoscere l'autorita' di poteri distanti e disinformati. Abbiamo il dovere di dichiarare le nostre identita' virtuali immuni al vostro potere, anche se dovessimo continuare a rispettare le vostre leggi con i nostri corpi. Ci sparpaglieremo su tutto il Pianeta in modo che nessuno possa arrestare il nostro pensiero. Noi creeremo la civilta' della Mente nel Cyberspazio. Che possa essere piu' umana e giusta del mondo fatto dai nostri governi". In questi anni Barlow, tra i fondatori della "Electronic Frontier Foundation" non e' stato l'unico ad affermare il diritto allo scambio libero e gratuito di opere dell'ingegno, una pratica che affonda le sue radici nella storia dell'umanita' e che oggi qualcuno vorrebbe etichettare come "pirateria". Chi sono i veri pirati della societa' dell'informazione, i ragazzi che scambiano musica facendo pubblicita' gratuita agli artisti attraverso il passaparola o i notabili della Time Warner, che scippano alla collettivita' due milioni di dollari l'anno per una canzone che non hanno mai scritto? Il brano musicale in questione si chiama "Tanti auguri a te", e' stato composto nel 1935 e l'ultima delle sorelle Hill, le vere autrici di questo pezzo, e' morta nel 1946. Purtroppo nel 1998 stavano per scadere i diritti d'autore su Mickey Mouse, e l'idea di un Topolino "Open Source", liberamente affidato alla creativita' dei disegnatori e degli animatori freelance di tutto il mondo, faceva tremare le ginocchia di un colosso come la Walt Disney. A tranquillizzare gli eredi di papa' Walt ci ha pensato l'ennesima legge su misura, che ha esteso a 90 anni la validita' del copyright. Per questo motivo dovremo aspettare il 2025 prima che la canzone "Tanti auguri a te" diventi ufficialmente patrimonio culturale dell'umanita', mentre di fatto lo e' gia' da mezzo secolo. Chi sono allora i veri pirati? Chi scambia musica per passione o chi realizza avidamente per quasi un secolo profitti sproporzionati e ingiustificati su idee artistiche che non ha mai avuto? Fare memoria dell'Italian Crackdown non e' un atto nostalgico da reduci dell'epoca d'oro delle BBS, ma e' un passaggio necessario per interrogarsi sui benefici e gli svantaggi dei due approcci culturali e filosofici che oggi guidano lo sviluppo tecnologico, culturale e commerciale: il modello "proprietario" e il modello "libero". Questi due modelli di sviluppo e di ricerca sono caratterizzati da un approccio diametralmente opposto a questioni delicate e cruciali come la proprieta' intellettuale, il copyright e i diritti di sfruttamento economico delle invenzioni. Il modello proprietario e' caratterizzato dall'applicazione al mondo delle idee, della cultura e delle opere dell'ingegno di un concetto base dell'economia tradizionale: il valore di un bene e' determinato dalla sua scarsita'. L'applicazione di questo principio economico a beni immateriali come un algoritmo, una sequenza di note musicali o un protocollo di comunicazione tra computer ha come conseguenza una rigida applicazione del copyright, la tassazione di ogni forma di utilizzo o duplicazione delle opere dell'ingegno, e un lavoro incessante di monitoraggio e controllo per reprimere e sanzionare qualunque utilizzo di questi beni immateriali che non produce un immediato vantaggio economico per i loro inventori. A questa visione "mercantile" della cultura se ne contrappone un'altra, basata su un concetto completamente diverso: nella societa' dell'informazione il valore di un bene immateriale, concettuale o artistico e' determinato dalla sua diffusione e non dalla sua scarsita'. Applicando questo principio cade la necessita' di tassare ogni forma di distribuzione delle opere dell'ingegno, perche' la libera circolazione delle idee, anche quando avviene in forma spontanea o gratuita, riesce sempre e comunque a produrre un vantaggio per chi ha dato vita a quelle idee, anche se questo vantaggio e' indiretto e non immediato. E' questo l'approccio culturale e filosofico che ha permesso lo sviluppo esponenziale di Internet e di tutti i protocolli, servizi e tecnologie che oggi utilizziamo quotidianamente per l'interconnessione su scala geografica dei computer e per la posta elettronica, la navigazione ipertestuale o lo scambio di file. Se oggi dovessimo pagare un centesimo per ogni volta che usiamo la "chiocciolina" in un messaggio email, consultiamo a distanza un documento attraverso il protocollo HTTP o pubblichiamo in rete un ipertesto secondo gli standard che definiscono il linguaggio HTML, probabilmente al mondo ci sarebbe qualche miliardario in piu', ma avremmo un'Internet molto piu' povera di informazioni, meno diffusa e meno frequentata, e questo sarebbe un grosso danno anche per i miliardari. Mi sono avvicinato con passione alla telematica sociale di base proprio nel 1994, scoprendo con orrore che qualcuno aveva pagato con una persecuzione giudiziaria la creazione delle prime comunita' virtuali italiane. Da allora, anche grazie alle esperienze di "cittadinanza attiva" del cyberspazio realizzate all'interno dell'associazione PeaceLink (http://www.peacelink.it), non ho piu' smesso di interessarmi ai problemi della comunicazione e delle nuove tecnologie dell'informazione. In rete ho trovato la passione del giornalismo, e ho cominciato a diffondere gratuitamente i miei scritti, senza mai considerare la libera circolazione delle mie opere come una violazione del mio "diritto d'autore", ma come un grande regalo che mi facevano tutti coloro che sceglievano di leggere, inoltrare, riprodurre e pubblicare i miei scritti. Oggi riesco a vivere di quello che scrivo, e non ho bisogno di mandare in galera i ragazzini che scaricano le mie opere attraverso i circuiti peer-to-peer. In questo preciso momento il mio client emule segnala la presenza di 18 utenti che hanno nel loro computer uno dei miei libri, e questo mi riempie di gioia, mentre qualcun altro al mio posto vorrebbe chiamare il 113. Ho avuto il grande privilegio di pubblicare il libro "Italian Crackdown" (http://www.apogeonline.com/ebook/90017/scheda), che racconta in dettaglio i giorni bui delle perquisizioni e dei sequestri, il primo libro italiano diffuso con una licenza "open content" che ne ha permesso la pubblicazione in rete sin dal primo giorno di presenza in libreria. In tutto questo percorso, non ho mai smesso di credere che il valore dei miei scritti e di qualunque altra opera dell'ingegno non ha nulla a che vedere con chi vorrebbe affermare il dovere di controllare, sanzionare e carcerare chi mi legge senza pagarmi. Spero che in futuro ci possa essere un numero sempre maggiore di autori che decideranno di aprire i loro cassetti per far parte dell'intelligenza collettiva della rete, dove quello che si riceve e' infinitamente maggiore di quello che si potra' mai donare in tutta una vita. Copyleft note: Permission is granted to make and distribute verbatim copies of this book provided the copyright notice and this permission notice are preserved on all copies. ================================================================================ ------------------------------------[ EOF ]------------------------------------- ================================================================================